mercoledì 9 aprile 2014

Ritorno di Mario Riondato dal Camerum....

Tornerà nella sua Acquapendente tra qualche giorno, poco prima della metà di aprile, giusto in tempo per vedere la nascita dell’ultima nipotina. Mario Riondato, veneto di origine e naturalizzato aquesiano, è tornato per la seconda volta nella “sua Africa”, missionario laico, nel Camerun, a confine con Nigeria e Congo.

C’era già stato ad ottobre 2009 ed i ricordi di quella sua prima missione in diapositive li proiettò quasi tre anni dopo alla Sala Bigerna accompagnandoli con un suo commento. “Un commento vivo e partecipato – scrisse un periodico in quella occasione – come se quelle immagini immobili per lo spettatore fossero invece per lui ancora vive, anche se sono passati più di tre anni da quando quelle diapositive sono state realizzate”.

Mario Riondato, marito felice, padre di otto figli, felicissimo nonno, in attesa
che la cicogna si posi tra qualche giorno sul tetto della casa di sua figlia Katiuscia e del genero Francesco, ha sempre coltivato il sogno di andare missionario sulle orme di un suo fratello ormai scomparso, Padre Tarcisio dei Giuseppini che alla fine degli anni ’60 era stato per un certo periodo anche a Viterbo.
Nella prima missione di quattro anni e mezzo fa, Mario collaborò con i Padri Dehoniani del Sacro Cuore per completare una chiesa. Sarebbe partito anche prima per tornare in Camerun, ma a frenarlo è stato un po’ anche il Parroco Don Enrico Castauro che aveva bisogno di lui per rimettere in ordine alcune chiese ad Acquapendente. Ma a gennaio scorso Riondato è ripartito per il Camerun e tornerà con le rondinelle.
In questi tre mesi con cadenza quasi settimanale attraverso la posta elettronica ha informato della sua attività la sua famiglia. E, scorrendo quella corrispondenza, Mario ha raccontato come anteprima di nuove diapositive o di qualche filmato che porterà con sé quello che ha fatto ed anche uno spaccato di vita di quella popolazione camerunense.
Subito dopo il suo arrivo, ha aiutato a sradicare ceppi di piante, poi ha realizzato abbeveratoi per il bestiame, una tettoia a protezione di una sorta di laboratorio per estrarre olio di palma, un pezzo di pavimento in calcestruzzo in un piazzale. Ha collaborato alla realizzazione di pozzi per l’acqua, di porcilaie, di strade che dalla Missione portano alla stalla, gettate di cemento ed altro ancora.
Come vive il popolo camerunense, almeno in quella parte di Camerun dove è stato Mario?
Lasciamo in gran parte alla sua penna ed al suo sfogo la descrizione che ne fa: “Non è tanto caldo, 26 – 30 gradi all’ombra, ma si sente molto. Ho due o tre africani che mi aiutano, ma oltre che non sanno lavorare sono lenti e naturalmente devo adattarmi e non perdere la pazienza… (Nella Missione dove sono adesso) ci sono una cinquantina di capi di bestiame, maiali, quattro scrofe con quasi cinquanta maialini nati qui in due settimane, duecento galline, parecchi conigli e anatre… Qui il bisogno è tanto, quando vedono un bianco tutti gli fanno la corte per raccontare i loro mille problemi, ma non è il caso di dare retta a tutti… Praticamente sono tutti contadini, hanno la loro casetta fatta non più con la paglia, ma con blocchi di terra seccata al sole e coperta con lamiere. Tutti hanno un pezzetto di terra da cui con la zappa ricavano da vivere e producono fagioli, mais, patate dolci, in montagna anche patate come le nostre, miglio, ignam che è una radice lunga anche 60 cm e con un diametro fino a 15 cm, un po’ amara, ma insieme ad altro si mangia… Venerdì ci sarà un funerale. Da quando un ricco per il funerale di suo padre ha fatto venire la banda musicale, ora tutti quando fanno un funerale lo fanno con la banda, magari quattro gatti, ma che la banda suoni. Qui non ci sono cimiteri, tutti seppelliscono i loro morti nella loro casa, all’esterno ma anche sotto il letto. Se succede che qualcuno muore lontano magari i famigliari fanno i debiti, ma si portano il loro congiunto a casa perché credono che diversamente la sua anima vagherebbe per l’eternità… Gli africani non sono dei grandi mangiatori, ma in compenso se c’è birra hanno sempre sete… Padre Antonio mi ha suggerito di andare il sabato e la domenica con gli operai in paese e di offrire loro la birra: un po’ funziona… L’80% della popolazione 50 anni fa viveva ancora nella foresta in una capanna sopra la terra che usavano solo per dormire come ancora fanno i pigmei… Le condizioni igienico – sanitarie sono pessime… Il Camerun a sud è molto verde: si mangiano banane crude o cotte, papaie, cocco, palme da olio, avocado, mango, cuore di bue e frutti di altre piante di cui non conosco il nome… Di animali non ce ne sono molti: una volta un confratello che doveva seguire i vaccari che a loro volta dovevano seguire il bestiame, ha rincorso e poi preso una mangusta che è come un mezzo coniglio ed il giorno dopo l’abbiamo mangiata con il risotto… Sul monte qui di fronte dicono ci siano ancora dei gorilla. Al nord c’è la riserva con elefanti, giraffe, leoni ed altri animali tipici: se persiste la siccità si avvicineranno alle colture dei poveri abitanti di queste zone e faranno piazza pulita. Uccelli ce ne sono in gran quantità  e pure serpi… Qui il Carnevale non sanno cosa sia, ma in compenso conoscono bene il giorno delle Ceneri. Tutti sanno che il mercoledì delle Ceneri si va in chiesa a ricevere la cenere sulla testa: ci vanno i cristiani tutti, ma nella chiesa cattolica ci vanno i protestanti, i musulmani, i pagani, tutti perché per loro è un rito magico e quando il Vescovo entra in chiesa deve portare una mezza scopa ed un secchio di acquasanta e deve bagnare tutti perché tutti vogliono essere bagnati… Qui di trattori e camion non ce ne sono molti; i camion sono vecchi e malmessi con motori piccoli che in salita vanno a passo d’uomo e la maggior parte circola senza freni causando incidenti mortali. Quelli che si vedono di più sono quelli che trasportano la birra, viaggiano in due autisti anche nei camion con la cabina piccola, tanto loro sono abituati a dormire l’uno accanto all’altro”.
La pubblicazione di queste corrispondenze di quasi tre mesi dal Camerun è stata sollecitata dallo stesso Mario Riondato e caldeggiata dai suoi famigliari. E’ la testimonianza di come vivono popoli che “non hanno abilità al lavoro, né materiali per lavorare” ed aspettano aiuti da tutti. E, tanto per restare nella piccola comunità aquesiana, riportiamo quanto disse il Parroco Don Enrico Castauro al termine della proiezione delle diapositive, ricordo di Mario Riondato dopo il suo primo viaggio in Africa: “Sono numerosi gli aquesiani, soprattutto giovani, che periodicamente vanno nelle tante missioni sparse nei 54 Stati di tutto il continente nero. A loro sono grati i missionari per il contributo che danno a quelle lontane popolazioni tanto bisognose dell’aiuto di tutti”. (a. s.)  

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